In
questo lavoro è sviluppata la biografia di Aldo Gastaldi
Bisagno, ‘primo partigiano d’Italia’, comandante della divisione
Cichero, individuo dai principi morali ineccepibili e di profonda
religiosità, inquadrata nel tempo storico in cui si svolge, cioè tra
l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio e il 21 maggio 1945,
giorno in cui, a seguito di un tragico incidente avvenuto a
Desenzano sul Garda, muore. Da partigiano, dopo una serie di
travagli interiori, di riflessioni, di discussioni che cosa chiede,
in sostanza? L’autonomia intellettuale degli uomini delle formazioni
che guida e il loro diritto di scelta, che ribadisce per iscritto e
non una volta sola. Ne è convinto e non esiterà, per questo, a
mettersi in gioco ingaggiando una solitaria battaglia dagli esiti
per lui alquanto incerti. Se si immagina il contesto in cui le sue
parole vengono alla luce, dopo l’oscurantismo fascista che condanna
a pene severe il diritto d’opinione ascrivendolo alla categoria dei
reati, e in una fase – la guerra partigiana – in cui concetti simili
stentano ad emergere, perché sostituiti da altri, se ne può cogliere
la straordinaria portata. Non è il solo a enunciarli, in quanto in
diversi hanno provato a esprimerne di simili; è però il solo a farlo
nella VI Zona, in territorio a predominio comunista. Al tempo
stesso, si batte poi contro l’istituzione dei commissari politici e
contro i nuclei di partito nel momento in cui si accorge che,
anziché esporre e discutere le indicazioni del Cln – in cui sono
rappresentati tutti i partiti di allora: democristiani, comunisti,
socialisti, azionisti, repubblicani e liberali – che prevedono, per
così dire, un’educazione di tipo civico dei soggetti cui sono
indirizzate diversificando le posizioni, preferiscono trattare la
materia, affatto semplice, in modo univoco. È chiaro che agire per
contrastare simili procedimenti, come fa
Bisagno, suscita
preoccupazioni nei suoi avversari – perché di avversari, specie dal
settembre 1944 in poi, si tratta – che pensano al modo di
inertizzarlo e poi di sbarazzarsene una volta per tutte,
ingiungendogli dapprima di andarsene a casa e poi di spostarsi nello
spezzino, alla IV Zona. Senza, tuttavia, abbandonare il conformismo
di cui sono ammantati, che – è doveroso riconoscerlo - si è fra
l’altro reso necessario per superare le avversità nate con
l’affermazione del regime e proseguite per oltre vent’anni. Se non
vi riescono è perché si frappone una serie di motivi: l’eccezionale
prestigio goduto da Bisagno
presso le formazioni che compongono la divisione e indipendentemente
dal loro colore politico, la sua difesa con le armi in pugno e che
ad un certo punto rischia di degenerare, questioni di opportunità e,
al fondo, la possibilità di praticare strade diverse. E come ha
giustamente rilevato Mimmo Franzinelli, autore dell’introduzione,
“il volume contiene un ampio ventaglio di testimonianze, che
restituisce al lettore l’eterogeneità della visuale e la
soggettività dei protagonisti della Resistenza. Le fonti orali
s’intrecciano alla documentazione coeva, così efficace nel rivelare
– persino nelle fonti tedesche e fasciste – spietatezza e
predatorietà dell’occupazione nazista, nonché la sudditanza
collaborazionistica del governo allestito dal redivivo Mussolini. In
Liguria, più che altrove, la razzia di manodopera assume la forma
della deportazione degli scioperanti nelle fabbriche-lager del
Reich, forma allucinante di nuova schiavitù. Il lettore viene
gradualmente condotto dentro le dinamiche resistenziali, finché nel
quarto capitolo trova un ritratto sanguigno e documentatissimo di
Bisagno, in costante
interlocuzione con i suoi compagni, inclusi gli ostinati detrattori
di matrice comunista. La lunga intervista al capo-staffette
Rum (Bernardo Traversaro)
fornisce un ritratto a tutto tondo di
Bisagno, nei tratti
fisiognomici come nei tipici comportamenti che lo resero una figura
carismatica. Forse la specificità caratterizzante il giovane
comandante partigiano è – col coraggio di esporsi personalmente sul
piano operativo e militare – l’ostinazione con cui ripropone una
pedagogia politica centrata sul patto ciellenista, al di fuori e
contro settarismi di fazione e patriottismi di partito che nel
dopoguerra svilupperanno operazioni di egemonia culturale per
l’appropriazione partitica della Resistenza”.
Il libro è stato composto
adoperando quasi esclusivamente fonti partigiane.
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